La passione per vesti sgargianti risale ad epoche lontanissime. Dalle fonti antiche ricaviamo preziose informazioni su questo fenomeno.
Sappiamo ad esempio che i romani tingevano di una striscia rossa le loro toghe virili; nel loro caso il rosso era il simbolo degli Dei e la toga bordata di questo colore segnalava che chi l’aveva indosso era stato iniziato alla pratica del culto romano; cosa che implicava l’assunzione non solo di diritti e doveri religiosi ma anche civili.
Ma perché tingere gli abiti con la costosissima porpora anziché con un comune rosso che poteva facilmente ottenersi dalle terre disponibili a nord del Tevere? Il problema di un rosso ottenuto ad esempio da una terra di Siena, era che tendeva a scolorirsi con facilità già dopo i primi lavaggi, mentre la porpora tendeva a risultare sempre più brillante, lavaggio dopo lavaggio!
La produzione del pigmento era molto complessa, ciò ne giustificava gli elevati costi.
Nella sua Historia naturalis, Plinio il Vecchio riferisce numerosi dettagli su questa attività industriale[1]. Essa si estraeva da delle conchiglie tipiche del mediterraneo: il murex trunculus, il murex brandaris e la thais haemastoma[2]. Per procurarsi le conchiglie si sistemavano delle ceste di vimini con delle esche, quindi si estraeva la parte carnosa dell’animale dal guscio perché in essa vi è una ghiandola che produce la tintura, la si metteva a decomporsi in una cavità scavata nel terreno, poi la si lasciava in acqua salata per una decina di giorni: ne risultava un liquido giallo pallido che acquistava il colore una volta esposto ad essiccare al sole. Dal tempo di esposizione al sole e dalla tipologia di conchiglia utilizzata dipendeva la varietà del colore.
Vitruvio asserisce che quella rossa era prodotta nelle coste a sud del mediterraneo, mentre quelle orientali ed occidentali producevano toni sul violetto ed invece dalle coste settentrionali proveniva una tintura più scura.[3]
Pare che necessitassero almeno 12.000 conchiglie per ottenere 1,4 grammi di porpora![4] Ciò ne implicava una preziosità che si dovette gestire persino con decreti imperiali in epoca romana: Diocleziano fissò a tre etti d’oro il valore di un solo etto di porpora!
I Fenici furono i maggiori produttori e commercianti storici di questo prodotto, tanto da elaborare una leggenda che attribuiva a loro la scoperta di questo pigmento. Essi si spingevano in luoghi lontanissimi per trovare le conchiglie più adatte: pare che arrivarono fino alle isole Canarie per procurarsene di ottima qualità.
Ma l’archeologia tende a togliere il primato della scoperta agli abitanti di Tiro: una serie di tavolette minoiche dimostra che i micenei producevano questo materiale per tingere tessuti preziosi.
La tavoletta KN X976, rinvenuta a Cnosso, contiene l’espressione “porpora reale”. Inoltre si hanno attestazioni di pitture minoiche in cui venne utilizzato il preziosissimo colore: sul sarcofago di Aghia Triada, datato al 1450 a.C. circa, sono dipinte figure umane, finemente vestite di tessuti con strisce di porpora di varie sfumature.
Nei racconti omerici inerenti i fatti della guerra di Troia, la notizia dell’uso della porpora ritorna più volte: Elena “tesseva una tela grande, doppia, di porpora, e ricamava le molte prove che Teucri domatori di cavalli ed Achei dai chitoni di bronzo subivano per lei ”. Analogamente Andromaca, “nel cuore dell’alta casa tesseva una tela doppia, di porpora, e vi spargeva ricami variati ”. Agamennone portava “ nella mano larga un gran telo di porpora”; le ceneri di Ettore furono poste “dentro un’urna d’oro, avvolgendole in morbidi pepli purpurei”[5];
La letteratura antica non solo aiuta a testimoniare la preziosità della porpora in epoca antica; essa farebbe risalire l’uso del prodotto ad epoche lontanissime.
A detta di Platone, i re della civiltà atlantidea, anteriore addirittura di diecimila anni prima di quella greca, utilizzavano tessuti tinti con una varietà di porpora che tendeva al blu scuro in delle importantissime cerimonie che venivano ripetute periodicamente[6]. Allo stato attuale l’archeologia non ha confermato l’esistenza della civiltà atlantidea, sulla quale la fantasia dei moderni elabora le più svariate ipotesi immaginarie, ma del resto fino al 1872 ancora si dubitava dell’esistenza di Troia, in quell’anno invece scoperta dall’Archeologo Heinrich Schliemann, pertanto l’umanità potrebbe riscoprire, prima o poi, persino l’esistenza di Atlantide!
In tutti i casi su menzionati, i colori sgargianti ottenuti dalla porpora, nonostante i loro costi poco accessibili, erano ricercatissimi ed utilizzati spesso per sottolineare una condizione nobiliare o sacerdotale. Dai probabili sovrani atlantidei agli imperatori dell’impero bizantino, che vietarono l’uso della porpora all’infuori della famiglia reale, le tonalità della porpora erano utilizzate per ottenere abiti e tessuti sciccosissimi!
Insomma il gusto di indossare qualcosa di bello ed attraente ci ha forse sempre accompagnati.
Dott. Giuseppe Barbera
[1] Plinio il Vecchio, Historia Naturalis, IX, 124-142 [2] Luana Monte, La porpora dono di Atlantide?, pag. 1[3] C.s. pag. 2[4] Karali-Giannakopoulos L., 2005, p. 165. – D.S. Reece (1987,pp.203-204) , Luana Monte, La porpora dono di Atlantide?, pag. 1[5] ( Il.,III, vv. 125-128);(Il. 22, vv. 440-441);(Il., VIII, v 221; (Il, XXIV,vv. 795-796). Luana Monte, La porpora dono di Atlantide?[6] Crizia, 120b-120c.